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      Era rimasto però in potere degli insorti un lungo tratto dei bastioni tra Porta Ticinese e Vercellina.
      La cerchia che da cinque giorni teneva chiusa la città era dunque rotta, e Milano poteva in quella notte ricevere o mandar fuori quanta gente voleva.
      Che in quella notte Radetsky avrebbe effettuata la sua ritirata dal Castello molti in Milano dovevano saperlo. Dei preparativi della partenza gli abitanti del quartiere di San Calocero avevano avuto notizie precise, fin dalle ore cinque, da un drappello di soldati italiani, i quali, appunto per darne alla città la buona novella, erano fuggiti poco prima dal Castello; lo sapeva il Comitato di Casa Borromeo, a cui quei soldati - testimonio lo scrivente - furono diretti. Non potevano ignorarlo i membri del Comitato di guerra, che in un suo manifesto fin dal mattino aveva annunciata come sicura per l'indomani la liberazione della città.
      Coll'entusiasmo che tutti animava per le riportate vittorie, colle migliaia di fucili trovate nei magazzini e nelle caserme ch'erano in mano dei cittadini, non era difficile formare in quella sera squadre volanti, le quali, lanciate fuor delle mura e condotte da abili capi, potessero prevenire l'esercito di Radetsky sulle vie conducenti alle fortezze.
      Sollevare tutti i paesi non ancora insorti, portando dovunque il lieto annuncio della vittoria di Milano, tagliare ponti e strade, allagare le campagne circostanti, far massa di armati sui punti dell'Adda dove il nemico avrebbe tentato il passaggio, non era impresa difficile, dacchè a quell'ora quasi tutto il contado intorno a Milano era pieno d'armati, e un forte contingente potevano darne Monza e Bergamo, Pizzighettone e Cremona, libere a quell'ora di soldati stranieri; senza contare Como, che, dopo nutriti combattimenti, aveva fatto prigioniera tutta la guarnigione, e Brescia, libera anch'essa in seguito a capitolazione del comandante il presidio.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume primo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1903 pagine 338

   





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