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      Il maggiore Boday, comandante un corpo di fanteria di marina, formato di italiani e dalmati, che ordinò di far fuoco contro le guardie, non fu obbedito, ed egli stesso fu fatto prigioniero.
      Uscito dall'Arsenale, dopo averne affidato il comando a uomo fidato (Graziani), Manin, seguìto da una parte delle Guardie civiche e da gente d'ogni classe, si avviò alla Piazza San Marco.
      Là giunto, al popolo affollato, ebbro d'entusiasmo per la notizia sparsasi della presa dell'Arsenale, Manin così parlò:
      «Noi siamo liberi, e possiamo doppiamente gloriarci di esserlo, giacchè lo siamo senza aver versato goccia nè del nostro sangue, nè di quello dei nostri fratelli; perchè io considero come tali tutti gli uomini. Ma non basta avere abbattuto l'antico governo; bisogna altresì sostituirne uno nuovo, e il più adatto ci sembra quello della Repubblica, che rammenti le glorie passate, migliorato dalle libertà presenti.
      Con questo non intendiamo già separarci dai nostri fratelli italiani, ma anzi formeremo uno di quei centri, che dovranno servire alla fusione successiva, e poco a poco di questa Italia in un sol tutto.
      Viva dunque la Repubblica! Viva la Libertà! Viva San Marco.»(5)
      Acclamazioni frenetiche e migliaia di voci fecero eco a quegli evviva.
      Quasi nella medesima ora si compiva nel palazzo del governo un fatto di veramente capitale importanza.
      Il cittadino Mengaldo, quale comandante della Guardia Civica recatosi in persona dal Governatore, gli aveva dichiarato che per ridare alla città la desiderabile tranquillità, occorreva che tutte le armi fossero messe nelle mani dei cittadini.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume primo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1903 pagine 338

   





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