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      A tenore delle medesime «onde evitare lo spargimento di sangue», il conte Palffy, governatore delle Venete provincie, nell'atto di dimettersi dalle sue funzioni, rimettendole nelle mani del conte Zichy, comandante della città e fortezza, gli raccomandava caldamente di «voler avere riguardo a questa bella monumentale città, verso la quale egli ha sempre professato la più viva affezione e il più leale attaccamento». A sua volta il conte Zichy rimetteva il governo militare-civile nelle mani del governo provvisorio, e intanto nei membri della Commissione sottoscritti alla capitolazione; le truppe austriache dovevano abbandonare la città e tutti i porti, restando a Venezia le truppe tutte italiane; rimanere in Venezia tutto il materiale da guerra.
      Il conte Zichy dava inoltre la sua parola d'onore di restare per ultimo in Venezia a guarentigia dell'esecuzione dei patti della capitolazione.
      Così Venezia era libera senza colpo ferire.
      Giustamente una corrispondenza pubblicata il 2 aprile 1848 nella Allgemeine Zeitung, gazzetta d'Augusta, diceva che la rivoluzione di Venezia era stata, per opera dei capi del movimento, un vero capolavoro di senno politico.
      Il 23 marzo davanti a tutta la Guardia civica schierata sulla piazza San Marco, e dopo la benedizione del tricolore vessillo fatta dal Patriarca, il comandante la Guardia civica, Mengaldo, faceva la proclamazione, accolta da strepitose acclamazioni delle guardie e del popolo, del Governo provvisorio della Repubblica Veneta, con Daniele Manin, presidente.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume primo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1903 pagine 338

   





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