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      Al conte Martini aveva detto: "Io non entrerò in Milano prima di aver sconfitto gli austriaci". Generoso il proposito, ma funeste le conseguenze che dovevano derivarne.
      E qui ci piace riportare ciò che scrive in proposito, in un libro ancora inedito sulle Campagne dell'indipendenza e unità d'Italia, l'egregio e chiaro scrittore di cose militari, il professor Jacopo Dal Fabbro, più noto sotto lo pseudonimo di "Demetrio."
      Non a Pavia e a Lodi, bensì a Milano doveva accorrere per primo il re alla testa dei suoi trecento carabinieri a cavallo, delle sue guardie, dei suoi bersaglieri, della parte più eletta ed appariscente del suo esercito.
      Quivi soffermandosi appena per gli opportuni accordi col Governo provvisorio, piantare il perno della sua seconda base di operazioni alla linea fluviale dell'Adda. Quì con un proclama vibrante di amor patrio incitare i lombardi a sorreggerlo nella lotta da essi così valorosamente iniziata, potendo la guerra a cui si accingeva il suo esercito divenire lunga ed aspra e difficile.
      Allora si sarebbe vista la piccola brigata Bes stringersi d'attorno le improvvisate schiere dei corpi franchi di Arcioni, di Torres, dei Ticinesi e dei Comaschi. Allora il colonnello Alessandro Lamarmora, il migliore degli ufficiali piemontesi del suo tempo, incontrandosi con Manara e coi volontari della morte, avrebbe in poche ore convertito le sue quattro compagnie di bersaglieri in quattro bei battaglioni.
      .... Nè era il momento di sospettare e diffidare dei partiti, perchè un'unica idea, alta e degna, dominava sovrana: scacciar lo straniero.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume primo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1903 pagine 338

   





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