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      Pochi giorni dopo (15 maggio), il re di Napoli, consumato il suo tradimento contro la Camera e la Costituzione da lui giurata, mandò l'ordine al suo corpo di spedizione, già arrivato a Ferrara, di far ritorno nel regno.
      Il generale Pepe che lo comandava tentò invano di trattenerlo. "Davanti (egli disse agli ufficiali, additando il Po) è l'onore; il ritorno è la defezione". Un sol reggimento di linea, i volontari e alcuni ufficiali d'artiglieria, Cosenz, i fratelli Mezzacapo, Ulloa, che in seguito presero posto fra i migliori dell'esercito italiano, lo seguirono; il grosso delle truppe napoletane ritornò nel reame a servizio della reazione.
      Della Lombardia, che così valorosamente aveva cominciato la lotta, e sebbene si dovesse combattere per la sua esistenza politica, il concorso alla guerra fu meschino. Non più di 5000 furono i volontari che, facendo seguito alla colonna di Manara, furono da Milano e da Brescia, mandati in campo, e le due divisioni di linea, che più tardi furono raccolte e organizzate, arrivarono sul teatro della guerra, quando le sorti di questa erano già molto compromesse.
      A torto, di questo scarso contributo alla guerra furono da gazzettieri prezzolati e da storici ufficiosi incolpati i repubblicani, i quali invece, come tutti i documenti lo provano, a cominciare dai primi giorni, non si stancarono mai di eccitare i governanti lombardi e l'opinione pubblica al generale armamento e alla maggiore e più rapida cooperazione possibile di volontari e di truppe di leva alla guerra.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume primo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1903 pagine 338

   





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