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      Gli ufficiali se ne offesero e protestarono; il ministero richiamò il compromettente collega, ma il malumore che già serpeggiava nell'esercito verso la parte che più spingeva alla guerra, ebbe da quelle parole maggior alimento.
      Il ministero, a cui Buffa aveva per pochi giorni appartenuto, era quello presieduto da Vincenzo Gioberti, che s'era dato l'appellativo di democratico.
      Fermo nella sua antica idea dell'egemonia del Piemonte, il Gioberti riunì in Torino un Congresso per proporre le basi d'una nuova lega italiana, comprendente il Piemonte, la Toscana e gli Stati Pontifici, della quale il Piemonte doveva essere il capo.
      Ma Roma non ne volle sapere, e Montanelli, ministro pel granduca Leopoldo in Toscana, bandì la proposta, già cara a Mazzini, d'una Costituente italiana.
      Ma nel momento di convocarla, il granduca, rifugiatosi, come s'è detto, a Porto San Stefano, la disdisse.
      Prendendo allora il sopravvento in Livorno e in Firenze i repubblicani, Gioberti, che vedeva tutti i suoi progetti compromessi, promise in segreto al granduca l'aiuto di truppe piemontesi, per rimetterlo nel pieno possesso della sua autorità.
      Aveva già dato ordine al comandante le truppe che erano sul confine di mettersi in marcia, senza averne prevenuto nè il re, nè i colleghi del ministero. Questi, non appena ne furono informati dalle notizie e dai commenti dei giornali, protestarono tutti con sì viva indignazione, che il povero Gioberti, da capo ch'egli era del governo, fu costretto a dimettersi.
      Illuso e traviato nelle sue idee neoguelfe e di egemonia subalpina, il Gioberti, trovatosi alla direzione dello Stato, aveva veduto le immense difficoltà e i pericoli gravissimi d'una guerra immediata all'Austria.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume secondo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1904 pagine 328

   





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