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      Pericoli e difficoltà che il Rattazzi, succedutogli nella presidenza del Consiglio, non seppe o non volle vedere.
      Giudicando le cose e gli uomini, non quali erano realmente, e come doveva considerarli la mente di un vero uomo di Stato, ma come se li figurava il partito politico sul quale egli si appoggiava, credette la guerra il miglior rimedio ad una situazione piena di antinomie e di contrasti, che ad ogni volger di luna mutava un ministero.
      Nella Camera, tranne un piccol gruppo di conservatori, tutti credevano la guerra all'Austria una necessità e un dovere per il Piemonte, messosi alla testa dell'impresa nazionale. Ma mentre i più assennati avrebbero voluto attendere circostanze più propizie, per intraprenderla con probabilità di vittoria, la parte di sinistra che sosteneva il ministero, ligia ai circoli tribunizî, pei quali ogni giorno di ritardo a intimarla era quasi un tradimento, la desiderava immediata.
      Erano quei medesimi, che avevano proclamato come un dogma il principio della sovranità del popolo, e che or gettavano questo, senza consultarlo, in una guerra che si presentava sotto auspicî per nulla favorevoli. Erano coloro che il bene dei lavoratori avevano sovente sul labro, e tuttodì invocavano leggi a difesa dei poveri, e che i figli del popolo mandavano a farsi ammazzare per una patria che non conoscevano.
      Decisa la guerra senza aver messo in bilancia le probabilità favorevoli del successo e quelle contrarie, senza aver nulla fatto per propiziarsi la fortuna, come un dissennato che getta in un giuoco d'azzardo tutte le sue sostanze e la vita, il governo presieduto da Urbano Rattazzi denunciò il 9 marzo la scadenza dell'armistizio pel giorno 20 marzo.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume secondo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1904 pagine 328

   





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