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      Avezzana, chiama la divisione lombarda e i volontari delle due riviere ad accorrere a Genova per la difesa delle comuni libertà.
      Ma i deputati, compresi quelli che si erano atteggiati a repubblicani, non rispondono; la divisione lombarda è dal gen. Fanti, succeduto al Ramorino, trattenuta a Chiavari, e il bollore degli stessi insorti genovesi dopo tre giorni è sfumato. «L'indignazione che invase il popolo» scrisse Pisacane, a proposito dell'insurrezione «bastava per insorgere, non già per durare; li agitatori erano stati uomini senza idee, e nulli nell'azione; la direzione mancò, l'ardore non alimentato si spense, e Genova era soggiogata prima di combattere».
      Il gen. Alfonso Lamarmora, che aveva la sua divisione intatta per non aver preso parte alla battaglia, perchè trovavasi all'estrema destra, sulla via di Parma, chiamato dal comandante la piazza, che aveva capitolato davanti al popolo insorto, arriva a San Pier d'Arena con 16,000 uomini; s'impadronisce di notte del forte della Lanterna; e l'indomani, divise le sue truppe in tre colonne, le fece convergere verso il palazzo Doria, sede del triumvirato, mentre dai forti faceva bombardare la città. Dopo una mischia sanguinosa fra gli insorti e la truppa nel giardino Doria, interpostisi i Consoli esteri, le ostilità cessarono.
      Con dolore dobbiamo ricordare che, durante la lotta, una parte della truppa s'abbandonò alla sfrenatezza e al saccheggio, di cui furono vittime molte famiglie inoffensive.
      Ciò non impedì al governo di prodigare onori e laudi al generale e ai soldati trionfatori della ribelle città.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume secondo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1904 pagine 328

   





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