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      A quel tempo molti soldati austriaci prigionieri in Venezia furono colpiti dallo scorbuto. Sebbene fossero trattati colle più amorevoli cure, persuaso il governo che il clima di Venezia in quella stagione non fosse propizio alla guarigione, diede loro la libertà, facendoli sbarcare sulla costa d'Istria. Come a Milano, come a Roma, anche a Venezia nel calore della lotta gli italiani non vennero mai meno alle leggi di umanità.
      Il 24 maggio compiuta la seconda parallela, l'austriaco smascherò le sue batterie, munite da centocinquanta pezzi di artiglieria, facendo cadere una terribile grandine di palle, di granate e di bombe su Malghera, che laceravano i parapetti e le mura, spezzavano le palizzate, sfondavano le porte e le vôlte, spargendo ovunque lo sterminio e la morte. Si tiravano da settanta a ottanta colpi al minuto, e vedevansi contemporaneamente in aria fin diciotto bombe.
      Dagli assediati non si rispondeva che con settantacinque bocche da fuoco, le sole che potevano tirare contro le batterie nemiche.
      Le ultime ore di quella disperata difesa furono tutto quanto si può immaginare di ardimentoso e di eroico.
      Il gen. Ulloa, che dirigeva la difesa, così ne parla nella sua «Guerra dell'Indipendenza d'Italia 1848-1849»:
      Ciascuno fece il dover suo; per altro Cosenz, Sirtori, Rossarol eccitarono l'ammirazione generale; essi vedevansi moltiplicarsi, dirigere il fuoco dell'artiglieria, aiutare gli artiglieri nel servizio dei pezzi e approvigionare costantemente le batterie di munizioni. Un sì bell'esempio non fu senza imitatori.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume secondo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1904 pagine 328

   





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