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      In quel momento non è l'immagine delle migliaja di giovani periti in battaglia, non è il ricordo dei gemiti dei feriti rimasti lungo tempo sulla nuda terra senza soccorso, non le città rovinate e tutti i funesti effetti della recente guerra, di cui lo assalga il pensiero, ma è quello della patria perduta, della patria schiava, che sarà d'allora in poi il tormento di tutta la sua vita.
      Eppure Kossuth era uomo di gran cuore, e non scompagnò mai l'amor della patria da un alto sentimento religioso.
      Tutto questo vuol dire che se la guerra è cosa orribile, vi è qualche cosa di più triste e di più insopportabile, ed è la servitù della propria patria.
      La guerra uccide, ma l'oppressione d'un popolo è più esecranda, perchè è un continuo martirio.
      Quando i popoli insorgono per la rivendicazione della loro indipendenza e libertà, non fanno che obbedire a sentimenti di dignità e di giustizia, che sono indistruttibili nell'individuo e nella collettività.
      Abolire le guerre, che sono un retaggio di tempi barbari, è un dovere d'ogni popolo civile, ma per farle cessare bisogna togliere le cause che le rendono inevitabili, quali sono i governi tirannici e l'oppressione d'un popolo sull'altro.
      Nel caso dell'Ungheria, non i popoli dell'Austria la vollero soggetta, bensì, violando i diritti e i patti giurati, la Casa d'Austria, il Consiglio aulico e la camarilla militare. Su di essi adunque, e sulla egoistica inerzia delle altre grandi potenze, risale la responsabilità del sangue sparso e di tutti gli immensi danni che la guerra negli anni 1848 e 1849 recò, non soltanto al popolo e ai combattenti d'Ungheria, ma a tutte le popolazioni dell'impero austriaco, che non videro il ritorno dei loro figli, o li rividero mutilati e rovinati per tutta la vita.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume secondo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1904 pagine 328

   





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