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      Il presidente si teneva così poco legato dalla Costituzione, che a Digione aveva detto: "Quali che sieno i doveri che il paese m'impone, mi troverà deciso a seguire la sua volontà".
      Questi atti, ed altri non meno straordinari, che per brevità omettiamo, finirono per mettere in guardia gli stessi partiti monarchici. Fin dal principio di novembre, alla ripresa dei lavori della Camera, troppe cose facevano credere alla minaccia, quasi all'imminenza d'un colpo di Stato. La Destra medesima ne fu allarmata, e i questori della Camera presentarono un progetto che dava facoltà al presidente dell'Assemblea, di richiedere, per la difesa di questa, la forza armata.
      Questo progetto fu respinto il 17 novembre per opera specialmente di una parte dei repubblicani, che, odiando i monarchici, non videro la necessità di unirsi tutti quanti contro il pericolo più vicino e più grande, che minacciava tutti, monarchici e democratici, l'Assemblea e la Repubblica.
      Non più trattenuto da qualsiasi ostacolo, Luigi Napoleone si diè all'opera per il gran colpo.
      Suo principale consigliere, e probabilmente suo primo eccitatore in questa trama liberticida, fu il conte di Morny, che la fama diceva suo fratello illegittimo. Altri due importanti cooperatori furono il generale Saint-Arnaud, ministro della guerra, e Maupas, prefetto di polizia.
      Durante quindici giorni questi tre uomini stabilirono, col presidente, tutti i particolari di quest'atto immenso, - son parole d'un apologista del colpo di Stato, - e le più piccole cose vi furono prevedute, concertate, particolareggiate, preparate con sì meravigliosa segretezza, che gli amici più sicuri e gli agenti più necessari non ne ebbero neppure il sospetto, fino all'ultimo minuto che precedette la messa in scena.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume secondo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1904 pagine 328

   





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