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      È ciò che avvenne, quando il ministero Rattazzi estese le leggi amministrative piemontesi a regioni, come la Lombardia, che ne avevano di migliori, e quando lo Statuto già vecchio del 1848, che, nel pensiero medesimo di molti autorevoli dinastici, doveva essere temporaneo, fu imposto, come arca intangibile, a tutta la nuova Italia.
      Nel tempo medesimo in cui Cavour era tutto intento a raggruppare le fila per la guerra che sperava imminente, l'Austria, per scongiurare il colpo da cui si sentiva minacciata, sospese ad un tratto il regime militare e poliziesco in Lombardia e nel Veneto, col mandare a Milano, come governatore, l'arciduca Massimiliano, fratello dell'imperatore, con facoltà di proporre tutte quelle riforme che, a suo avviso, avrebbero potuto cattivare all'Austria l'affetto delle popolazioni.
      E Massimiliano, ch'era uomo colto e pieno di buone intenzioni, non fu avaro di promesse e di lusinghe a tutti quelli che potè in Milano avvicinare. Ma, com'era da prevedersi, nessun uomo di qualche autorità in paese si accostò a lui. La popolazione dal suo canto mostrò col proprio contegno, pur cortese verso la persona dell'arciduca, che dall'Austria non desiderava riforme, ma lasciasse un paese che non voleva più saperne di dominazione straniera.
      Dopo pochi mesi di inutili tentativi per formare nel Lombardo-Veneto un partito liberale austriaco, Massimiliano ritornò a Vienna, rinunciando l'alto ufficio nelle mani dell'imperatore, che rimise di nuovo tutta la sua fiducia nelle forze militari.


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Le guerre le insurrezioni e la pace nel secolo decimo nono
Volume secondo
di Ernesto Teodoro Moneta
Tipografia Popolare Milano
1904 pagine 328

   





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