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      Ma pur lasciando all’individuo la valutazione soggettiva del limite cui può giungere la sua tolleranza (ed in taluni casi il limite dell’uno parrà sempre troppo imaginario ad altri), l’eutanasia per reazione definitiva al dolore si propone, nell’idea dei suoi sostenitori, esclusivamente la liberazione legittima da quelle sofferenze fisiche, che per consenso universale son ritenute le più forti, le più acerbe, le meno sopportabili. Chi più, chi meno, la immensa maggioranza degli uomini ne ha fatto o ne può fare personale esperienza; i dolori unanimemente creduti più afflittivi son quelli che nella massima parte dei casi costituiscono il segno sicuro di processi distruttivi dello stame vitale. La cosa non è sempre vera; ma, checchè sia, è naturale, è logico il desiderio di liberarsene per sempre, di finirla una bella volta, o per mano propria o per mano altrui: o eutanasia suicida, o eutanasia pietosamente omicida. E invero, il concetto della morte liberatrice si trova costituire il nucleo di qualsiasi pensiero o tendenza consapevole al suicidio. Già l’infelicissimo Giacomo Leopardi, che poetò su due dei più celebri suicidi dell’Antichità, su Bruto minore e su Saffo, e più volte aveva meditato di troncare colle proprie mani l’Iliade perenne dei suoi "mali" e delle sue "sventure", aveva scritto frasi impareggiabili su questa motivazione:
      In luogo che un’anima grande ceda alla necessità, non è forse cosa che tanto la conduca all’odio atroce, dichiarato e selvaggio contro sè stesso e la vita, quanto la considerazione della necessità e irreparabilità dei suoi mali, infelicità, disgrazie, ecc.


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L'uccisione pietosa (L'eutanasia)
In rapporto alla Medicina alla Morale ed all'eugenica
di Enrico Morselli
Editore Bocca Torino
1928 pagine 230

   





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