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      Scriveva sempre il Mantegazza: "La lacerazione di un’unghia è assai più dolorosa di una ferita che ci svuota un occhio: il piede di un distratto che ci schiaccia un nostro piede, ci fa strillare assai più di una palla da fucile che ci ha forse forato torace e polmone". Certe ferite assolutamente micidiali non son dolorose, per esempio quelle del fegato, del cuore, del rene, del cervello. Il dolore, come sentinella d’allarmi, risiede piuttosto nelle parti superficiali del corpo (pelle, mucose, nervi periferici) che non nei visceri più profondi e vitali; e questo è un fatto biologico che sembra dovuto ad un teleologismo in Natura, ma che fu raggiunto per leggi necessarie dalla Evoluzione organica.
      Su di un campo di battaglia i lagni più strazianti non sono emessi sempre dai feriti più gravi, bensì dai più sensibili; non tutti hanno il contegno di eroi in una stoica indifferenza al dolore, ma perchè, non ostante la letalità delle ferite, queste hanno già superato i limiti della sensibilità portandoli alla sua paralisi, o hanno leso con minore estensione i nervi sensitivi periferici. Bene spesso un ferito da pallottola di rivoltella o di shrapnel avverte nella località colpita un leggero senso di contusione, e poi cade a terra senza provare quasi alcun dolore: il medico trova poi che il colpo ha leso organi vitalissimi e che al paziente non rimangono che poche ore di vita.
      Accanto a questi esempi in cui manca l’indice misuratore del dolore, (che secondo certi filosofi dovrebbe corrispondere alla teleologia della Vita), stanno i casi ben noti al medico-alienista di psicosi melanconiche ansiose del climaterio o dell’età presenile, in cui si deve ritenere, da tutto il contegno disperato degli infermi, che grandi siano le torture dell’angoscia, del delirio, delle allucinazioni, della desolazione: perciò tanto spesso i malati ne desiderano e domandano il termine sino a procurarselo col suicidio.


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L'uccisione pietosa (L'eutanasia)
In rapporto alla Medicina alla Morale ed all'eugenica
di Enrico Morselli
Editore Bocca Torino
1928 pagine 230

   





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