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      Dal momento che il medico acquistasse la certezza che sono inutili gli sforzi terapeutici per strappare alla sua sorte un infelice acutamente o lentamente divorato da un processo morboso inarrestabile, non potrebbe dare il consiglio della morte che liberasse, od accelerare egli stesso l’evento definitivo?
      La morte legale degli incurabili è domandata da due parti: da quelli che spingono il principio della carità fino alla pietà massima verso i dolori altrui, e credono che sarebbe opera umana aiutare i sofferenti a sottrarvisi per sempre; e da coloro che considerando inutili e superflue le persone condannate a morire più presto o più tardi, vorrebbero che il corpo sociale, mutando le sue idee e i suoi costumi, ne autorizzasse ufficialmente la soppressione.
      Si possono distinguere gli incurabili in quattro categorie. Le prime due riguardano la libertà di movimento; molti sono ancora capaci di muoversi, di agire di propria iniziativa, e per essi la liberazione si potrà effettuare spontaneamente col suicidio non ostacolato, e (qualcuno ammette) persin favorito; ma altri vi sono che la malattia o l’età hanno resi impotenti o paralizzati, perciò incapaci di tradurre in atto la decisione di uccidersi: ad essi gli eutanatisti vorrebbero che si fornissero i mezzi di terminare quella loro miseria, somministrando ad esempio un "dolce" veleno. Le altre due categorie, ben più importanti di incurabili, sono basate sulla loro consapevolezza del proprio stato. Infatti, molti infermi sono del tutto ignari della reale condizione di cose, o per assoluta incoscienza apportata dal male (quali i tifosi, i cerebropatici), o per indebolimento psichico (quali i vecchi dementi, i rammolliti); a tutti costoro l’eutanasia sarebbe procurata colla procedura ufficiale, ossia con autorizzazione superiore e previo consenso delle famiglie.


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L'uccisione pietosa (L'eutanasia)
In rapporto alla Medicina alla Morale ed all'eugenica
di Enrico Morselli
Editore Bocca Torino
1928 pagine 230