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      Sarà ben difficile convincere le famiglie a considerare quell’evento come una liberazione eutanatistica del loro malato, anche se fossero certi che la malattia era incurabile e avrebbe arrecato inutili sofferenze al paziente, ed ai parenti lunghe ansie, nocumento negli interessi e spese purtroppo inutili.
     
     
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      Ma lasciamo in disparte i casi qui prospettati di tacito incoraggiamento o di istigazione al suicidio di malati di mente; guardiamo al problema riguardo ai sani di mente, per certuni dei quali la morte volontaria costituirebbe una vera eutanasia, sia per ragioni morali, sia per ragioni fisiche.
      Esempî del primo genere sono le istigazioni al suicidio o le somministrazioni dei mezzi per compierlo a chi voglia o debba sfuggire alla vergogna di una condanna o alla pena capitale; ne furono in ogni tempo effettuate da parenti o amici di imputati o di ricercati dalla Giustizia. Oltre al notissimo caso di Arria, moglie di Cecina Peto accusato di congiura contro Claudio, - la quale si suicidò, prima collo spezzarsi il capo contro il muro, poi con immergersi una spada nel petto a spettacolo incoraggiante pel pavido marito, - altri molti ve ne sono di consimili dei tempi Romani, e si leggono in Appiano Buonafede (Cap. VI, p. 95 e s.). Ma non ne mancano ai tempi nostri, e il Ferri, nel suo citato libro, ne cita uno accaduto a Bologna poco prima del 1884, dove l’Autorità però non perseguì la persona che al reo aveva procurato il veleno, quantunque se ne propalasse per la città il nome.


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L'uccisione pietosa (L'eutanasia)
In rapporto alla Medicina alla Morale ed all'eugenica
di Enrico Morselli
Editore Bocca Torino
1928 pagine 230

   





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