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      Si può rispondere considerando la cosa nei riguardi del sentimento di solidarietà e mutuo rispetto che si è sviluppato fra gli Uomini. Questo sentimento comincia dalla famiglia, di cui è dubbio se la pratica dell’"omicidio pietoso" verrebbe a consolidare la già tentennante compagine. Verosimilmente, finchè durano nella immensa maggioranza delle nostre famiglie i due sentimenti fondamentali dell’amor parentale e della reverenza figliale, e finchè nel cuore umano albergherà la speranza che l’Arte medica trovi qualche sollievo ai nostri mali, la richiesta della morte anche da parte di infermi condannati non verrà ascoltata. Nè la compassione dei congiunti cercherà nella fine artificialmente affrettata del deforme, dell’idiota, del vecchio decrepito, quella liberazione dalla loro inconscia condizione, cui si opporrebbe certamente il loro istinto di vivere, qualora ne fossero coscienti.
      Io reclamo per la specialità medica che coltivo il grande merito di avere, per la prima, prospettata questa necessità di moralizzarci di fronte al problema della Vita e della Morte, in quanto essa ha dimostrato come ogni infermo di mente non sia degenere, nè sempre inutile e pernicioso di sua scelta e per sua responsabilità, ma sia la vittima di cause di degenerazione quasi sempre indipendenti dalla sua volontà. Ora, queste cause, tanto d’ordine morale (miseria, ignoranza, vizi, libertà eccessiva nei matrimoni, malo esempio, disoccupazione, ecc.), quanto d’ordine fisico (mancanza di igiene pubblica, strapazzo nel lavoro, eredità patologica, sifilide, alcoolismo, pellagra, ecc.


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L'uccisione pietosa (L'eutanasia)
In rapporto alla Medicina alla Morale ed all'eugenica
di Enrico Morselli
Editore Bocca Torino
1928 pagine 230

   





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