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      Non bisognava imporre alla donna una dote per maritarsi, non bisognava obbligarla al lavoro per mantenersi, non bisognava che ogni Adamo del secolo decimonono scaricasse addosso alla sua rispettiva Eva metà, e talora tutto il peso della sua condanna, ed allora si avrebbe potuto negarle la proprietà, che non può essere che prodotto del lavoro; e con quella e con questo, a monte i diritti civili, a monte i diritti industriali, a monte i diritti politici; e la dinastia virile sarebbe stata felicemente regnante fino alla consumazione dei secoli.
      Questa verità viddero i moderni novatori, epperò gli amici della donna le dicono, lavora; e gli avversari della sua redenzione si sbracciano a predicarle, ch'ella è di vetro e che arrischia di rompersi, muovendo un dito.
      Fortunatamente Proudhon, grande nemico della libertà femminile, arrivò troppo tardi ad avvertire i suoi compagni che il lavoro è il grande emancipatore...
     
      ... Certi spiriti piccoli, ed incapaci di elevarsi fino agli incontrastabili principii della giustizia, sorridono di stupida sorpresa ad ogni idea, che loro giunga d'oltre la angusta cerchia abituale delle loro menti; ma siccome non è d'obbligo, la Dio grazie, né la loro licenza, e tanto meno il loro intervento per rivoluzionare cosí nell'ordine delle idee, come in quello dei fatti; cosí, con loro buona pace, il movimento emancipatore della donna, che ebbe ad iniziatori altissime individualità dell'uno e dell'altro sesso, non potrà assopirsi e neppure arrestarsi, meglio di quel che si possa por argine al torrente precipitoso ed irrompente del principio delle nazionalità.


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La liberazione della donna
di Anna Maria Mozzoni
pagine 272

   





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