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      In ugni mò, voglioloso di accontentarla la su' cara Zelinda, si rimesse in viaggio lì pe' dintorni alla ventura, e cammina cammina, eccoti che 'gli arriva dinanzi a un bel giardino, tutto serrato da de' muraglioni; ma siccome il cancello 'gli era soccallato, lui lo pinse in là, e poi pian pianino nentrò dientro.
      Il giardino si vedeva carico gremito d'ugni sorta di fiori e di piante, e in un cantuccio e' c'era un cespuglio alto di rose vaghe [2] sbocciate e di colore aocchiato. Guarda di qua guarda di là, nun pareva che per quel logo ci fussi anima viva per chiedergli una rosa o col pagare, oppuramente in regalo; sicché, il pover'omo, insenza pensarci su più che tanto, allungata una mana in verso il cespuglio, abbrancò una rosa e la cogliette per la su' Zelinda.
      Misericordia! a mala pena che lui 'gli ebbe stacco il fiore dal gambo, nascette un gran fracasso e scaturirno valampole dal terreno, e a un tratto sbucò fori un Mostro terribile con la ficura di dragone, e fistiava a tutto potere, e scramò, iscurruccito a bono contro quel povero Cristiano:
      - Temerario! che ha' tu fatto? Ora ti tocca a morire subbito, ché tu ha' avuto l'arditezza di brancicare e sciupinarmi la mi' pianta di rose.
      Il pover'omo, morto più che mezzo dalla paura, si messe a piagnere e a raccomandarsi in ginocchioni, chiedendo perdono dello sbaglio commesso, e si diede a fare tutto il racconto del perché lui aveva colto quella rosa; e poi diceva:
      - Lassatemi andar via: i' ho la famiglia, e se manco io, per lei è finita e va in perdizione.


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Sessanta novelle popolari montalesi
di Gherardo Nerucci
Editore Le Monnier Firenze
1880 pagine 665

   





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