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      Sarebbe stato tutto tempo perso.
      Il sabbato sera al solito arritornò da Testa di Bufala, che quando la vedde disse:
      - Che sie' qui daccapo a frignare? Che te nun su' far altro?
      Dice la sposa:
      - Ma via! mamma, che nun ate punto core, che mi lassate accosì sconsolata? Che volete voi che faccia ora? Bisogna bene ch'i' mi contenti di piagnere. Se vo' nun mi perdonate, ora poi nun c'è più rimedio con quel mi' sposo.
      Arrispose Testa di Bufala:
      - Decco i frutti della disubbidienza e del core cattivo. Che del bene nun te n'avevo fatto? Eppure te andesti via come un cane, insenza nemmanco dirmi addio e ringraziarmi.
      Dice la sposa:
      - Ma sì, vo' avete ragione: ma però fu quello un mancamento insenza volontà. Che volete? I' ero tanto allegra, che mi scordai del mi' debito,
      Dice Testa di Bufala:
      - Ma ora, se tu dovessi andar via come quel giorno, che te ne scorderesti di me e delle mi' avvertenzie?
      Scrama la sposa:
      - No davvero, mamma! I' vi fare' i mi' addii, i' serrere' la lapida, e [316] anco pigliere' tutta quanta la mi' robba, tutta, tutta, tutta.
      - 'Gnamo, via! - disse Testa di Bufala. - Dunque ti perdono. Va' a ricerca il tu' pettine.
      La sposa non aspettò il comando per du' volte, e lesta andiede al cassettone per cercare il su' pettine, e a male brighe che l'ebbe trovo, deccoti gli sparisce la brutta testa e gli riviene la su' propria, ma anco a doppio più bella e splendente di prima. Che! saltava e urlava dall'allegrezza, che pareva una matta.
      Corse da Testa di Bufala, l'abbracciò, la baciò, gli fece mille carezze e ringraziamenti, e doppo se n'andette, chiuse per bene la lapida e arritornò al palazzo.


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Sessanta novelle popolari montalesi
di Gherardo Nerucci
Editore Le Monnier Firenze
1880 pagine 665

   





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