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      Oramai gli era rinuscito alla Caterina di rimandare le du' sorelle a' su' genitori; ci mancava che pure lei potessi fuggire dalle mane di Tognarone, e nun gli pareva tanto facile. Pensa e ripensa, finalmente almanaccò d'infingersi ammalata:
      - Mi dole 'l corpo, mi dole 'l corpo, i' mi sento male, - cominciò a dire. - Bisogna ch'i' vadia a letto. Ohi! ohi!
      Tognarone sgomento gli arriscaldò le lenzola, gli fece del brodo di cappone, e la Caterina ficurò di stare più meglio e che voleva riposarsi:
      - Ma - dice - te 'ntanto preparati a portarmi quest'altro cassone a casa mia, perché son otto giorni, e i' vo' che que' poeri vecchi nun manchino di nulla. Va' pur fora pe' tu' 'nteressi e al ritorno i' averò ammannito ugni cosa.
      Tognarone dunque sortì, e 'n quel mentre la Caterina con de' cenci e una maschera fabbricò una fantoccia della su' grandezza e la mettiede dientro al su' letto, e alla testa gli ci aveva appiccico un filo, sicché, quand'uno apriva l'uscio, quella fantoccia tentennava 'l capo, come se dicessi di sì; poi lei si niscose ben bene con dimolti quattrini, vezzi e pietre preziose in nel cassone, e ci si rinchiudé. Deccoti che arritorna Tognarone, e 'n punta di piedi ascende le scale e apre l'uscio di cambera, che era a finestre soccallate, e domanda:
      - Come va, Caterina? Che, dormi?
      E siccome lui smoveva la 'mposta, guà! la fantoccia gli accennava di sì.
      Dice Tognarone:
      - Che ho da ire subbito col cassone a casa tua?
      E la fantoccia, sì.
      Dunque Tognarone stronfiando alza il cassone per buttarselo in onca, e gli parse anco [414] più greve di quegli altri dua, sicché scrama:


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Sessanta novelle popolari montalesi
di Gherardo Nerucci
Editore Le Monnier Firenze
1880 pagine 665

   





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