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      Io non seppi mai la ragione di un sí strano effetto prodotto sopra di me da quel vecchio lungo e pettoruto; ma credo che le sue guarnizioni scarlatte mi dessero il guardafisso come ai polli d'India.
      Un'altra mia grande amicizia era il cavallante che a volte mi toglieva di groppa e menavami nelle sue gite di piacere per l'affissione dei bandi e simili faccende. Io poi non aveva pei coltelli e per le pistole un odio simile a quello del Capitano Sandracca; e durante la via frugava sempre per le tasche a Marchetto per rubargli il pugnale e far con esso mille attucci e disfide ai villani che s'incontravano. Una volta fra le altre che s'andava a Ramuscello a recar una citazione al castellano di colà, e il cavallante avea preso seco le pistole, frugandogli per le tasche ad onta delle pestate di mani ch'egli mi avea dato poco prima, feci scattare il grilletto, e n'ebbi un dito rovinato; e lo porto ancora un po' curvo e monco nell'ultima falange in memoria delle mie escursioni pretoriali. Quel castigo peraltro non mi guarí punto della mia passione per le armi; e Marchetto asseverava che sarei riescito un buon soldato, e diceva peccato che non dimorassi in qualche paese dell'alta ove si avvezzava la gioventù a menar le mani, non a dar la caccia alle villane e a giocar il tresette coi preti e colle vecchie. A Martino peraltro non andavano a sangue quelle mie cavalcate. La gente del paese, benché non fosse rissosa e manesca al pari di quella del pedemonte, aveva muso franco abbastanza per imbeversi spesse volte delle sentenze di Cancelleria, e per dar la berta al cavallante che le intimava.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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