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      Un cancelliere che con tre sgorbi di penna poteva a suo capriccio gettar fuori di casa in compagnia della miseria e della fame due tre o venti famiglie, doveva sembrare a quei poveretti qualche cosa di simile ad uno stregone. Ora che le faccende in generale camminano sopra norme piú sicure, anche gli ignoranti guardano la giustizia con miglior occhio, e non ne prendono sgomento come della sorella della forca o dell'oppignorazione.
      In compagnia delle persone di casa che ho nominato fin qui, il piovano di Teglio, mio maestro di dottrina e di calligrafia, usava passar qualche ora sotto la cappa del gran camino, rimpetto al signor Conte, facendogli delle gran riverenze ogni volta ch'esso gli volgeva la parola. L'era un bel pretone di montagna poco amico degli abatini d'allora e bucherato dal vaiuolo a segno che le sue guancie mi fecero sempre venir in mente il formaggio stracchino, quando è ben grasso e pieno di occhi, come dicono i dilettanti. Camminava molto adagio; parlava piú adagio ancora, non trascurando mai di dividere ogni sua parlata in tre punti; e questa abitudine gli si era ficcata tanto ben addentro nelle ossa che mangiando tossendo o sospirando pareva sempre che mangiasse tossisse o sospirasse in tre punti. Tutti i suoi movimenti apparivano cosí ponderati, che se gli accadde mai di commettere qualche peccato, ad onta della sua vita generalmente tranquilla ed evangelica, dubito che il Signore siasi indotto a perdonarglielo. Perfino i suoi sguardi non si movevano senza qualche gran motivo; e pareva che stentatamente s'inducessero a traforare due siepaie di sopraccigli che proteggevano i loro agguati.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





Teglio Conte