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      Io sono fratello di latte di tutti gli uomini, di tutti i vitelli e di tutti i capretti che nacquero in quel torno nella giurisdizione del castello di Fratta; ed ebbi a balie oltre tutte le mamme, le capre e le giovenche, anche tutte le vecchie e i vecchi del circondario. Martino infatti mi raccontava che vedendomi qualche volta innaspato per la fame, avea dovuto compormi un certo intingolo di acqua burro zucchero e farina, col quale m'ingozzava finché il cibo giunto alla gola mi impedisse di piangere. E lo stesso mi succedeva in molte case dove le mammelle tassate per nutrirmi in quella giornata erano già state munte da qualche affamato bamboccio di diciotto mesi.
      Vissuto cosí nei primi anni per un vero miracolo, il portinaio del castello, che era anche il registratore dell'orologio della torre e l'armaiuolo del territorio, aveva partecipato con Martino alla gloria di farmi fare i primi passi. L'era un certo mastro Germano, un vecchio bulo della generazione passata che aveva forse sull'anima parecchi omicidii, ma che avea certo trovato il modo di rappaciarsi con Domeneddio, perché cantava e burlava da mattino a sera raccogliendo immondizie lungo le vie in una sua carriuola per concimarne un campetto che teneva in affitto dal padrone. E beveva all'osteria i suoi boccaletti di Ribola con una serenità veramente patriarcale. Pareva a vederlo la coscienza piú tranquilla della parrocchia. E la memoria di quell'uomo mi condusse poi a conchiudere che la coscienza ognuno di noi se l'aggiusta a proprio grado; cosicché per molti sarebbe un sorbir un uovo quello che pare ad altri gravissimo malefizio.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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