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      Quando la Contessa, uscendo col piovano di Teglio e qualche visita di Portogruaro alla passeggiata del dopopranzo, li sorprendeva in questi esercizi di pedagogia, volgeva loro una per banda due occhiate da scomunica; e se io le dava tra le gambe non mancava mai di favorirmi fin d'allora quella tale squassatina nella coppa. Io poi, strillando e tremando di spavento, mi rifugiava tra le braccia di Martino, e la Contessa tirava oltre brontolando della fanciullaggine di quei due vecchi matti, che per tali erano conosciuti i miei due mentori presso la gente di cucina. - Comunque la sia, per opera dei due vecchi matti io divenni saldo sulle gambe, e capace anche di scappar ben lontano fin sotto il tiglio della parrocchia, quando vedeva spuntar sotto l'androne la cuffietta bianca della signora zia. M'attento di chiamarla zia, ora poveretta che la è morta da un buon mezzo secolo; poiché per allora, appena fui in grado di pronunciar parola mi insegnarono per suo comando a chiamarla la signora Contessa e cosí seguitai sempre poscia, rimanendo per tacito accordo dimenticata la nostra parentela. Fu in quel tempo che diventando io grandicello e non garbando alla Contessa vedermi sempre sul ponte, pensarono affidarmi a quel tal Fulgenzio sagrestano, del quale io feci sempre quel conto che voi sapete. Credeva la castellana disavvezzarmi cosí dalla sua Pisana immischiandomi coi fanciulletti del santese; ma quell'istinto di contraddizione che è anche nei fanciulli contro coloro che comandano a rovescio di ragione, mi faceva anzi star attaccato piucchemai alla mia estrosa damina.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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