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      Avvezza a condursi colla sola regola del proprio talento, la voleva cambiare divertimenti ed occupazioni ogni tratto; non sapendo che questo è il vero mezzo per annoiarsi di tutto, per non trovar piú né requie né contento nella vita, e per finire col non sentirsi mai felici appunto per volerlo esser troppo e in cento modi diversi. La scienza della felicità è l'arte della moderazione; ma la piccina non potea vedere tant'oltre, e sbizzarriva cosí, poiché gliene davano ampia facoltà. Superba di comandare e d'esser la prima in tutto, e di veder le cose ordinate a modo proprio, non è strano ch'ella cercasse accomodarle colla bugia, quando non le conosceva tali da indurre negli altri l'opinione altissima che la voleva far concepire di sé. Siccome poi tutti la adulavano e fingevano crederle, ella pigliava sul serio cotal dabbenaggine; e neppur si curava di render verisimili le sue fandonie. Soventi accadeva che per dar ragione di una ne dovesse inventar due; e quattro poi per portar avanti queste due, e cosí via di seguito fino all'infinito. Ma la era d'una fecondità e d'una prontezza prodigiosa senza mai scomporsi o mostrar timore che altri non credesse o curarsi degl'impicci che le potessero derivare dalla sua fintaggine. Credo la si avvezzasse tanto a far la comica che a poco a poco non sapea nemmen discernere in se stessa il vero dall'immaginato. Io poi, costretto sovente a tenerle il sacco, lo teneva con tanto malgarbo che si scopriva tosto il marrone; ma mai ch'ella perciò mostrasse dispetto o rincrescimento: sembrava che fosse già disposta a non aspettarsi di meglio da me, o che si credesse tanto superiore da non doversi le sue asserzioni porre in dubbio per la contraria testimonianza di un terzo.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253