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      E questa dose si replicava la sera, quando scoprivano ch'io aveva tutto fradicio e guasto il mio libricciuolo.
      Nei giorni comuni, dopo la messa ognuno andava per le sue incombenze fino all'ora del desinare; io poi aveva il mio bel che fare nel difendermi contro il famiglio del Piovano che veniva a cercarmi per le lezioni. Corri di qua, corri di là, io davanti ed egli dietro, finiva coll'esser preso mezzo morto di stizza e di fatica; e allora doveva fare con essolui di gran trotto il miglio che corre tra Fratta e Teglio per guadagnare il tempo perduto. Giunto nella canonica mi perdeva tutti i giorni a passar in rassegna certe vedute di Udine che adornavano la parete dell'andito e poi a gran fatica mi confinavano in uno studiolo, ove, dopo l'esperienza dei primi giorni, tutto soleva essere rigorosamente sotto chiave a cagione delle mie petulanze. Peraltro mi divertiva nel disegnar sopra i muri la faccia del Piovano con due boschi di sopracciglia ed un certo cappellone in testa che non lasciavano alcun dubbio sulle intenzioni satiriche del pittore. Spesso, durante queste mie esercitazioni artistiche, udiva per l'andito il passo prudente della Maria, la massaia del Piovano, che veniva a vedere de' fatti miei alla toppa della chiave. Allora io balzava allo scrittoio, e coi gomiti ben distesi e col capo sulla carta arrotondava certi A e certi O che empievano mezza facciata, e che, coll'aggiunta di altre quattro o cinque letteracce piú arabe ancora, fornivano ad esuberanza il mio compito giornaliero.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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