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      Oppur anche mi metteva a gridar bi a ba, be e be, bo o bo, con una voce cosí indemoniata che la povera donna scappava quasi sorda in cucina. Alle dieci e mezzo entrava il Piovano, il quale mi dava alquante zaffate per gli sconci che vedeva nel muro, altre ne aggiungeva a conto dell'infame scrittura, e me ne amministrava poi una terza dose per la pochissima attenzione prestata al suo indice nel leggere l'Abecedario. Mi sovviene che mi accadeva sovente di perder gli occhi in certi libroni rossi che stavano dietro i cristalli d'uno scaffale, ed allora invece di compitar la linea seguente saltava sempre alla riga del V: vi a va, vi e ve, vi o vo... A questo punto era interrotto dalla terza correzione accennata in addietro; e non ho mai potuto sapere la ragione della preferenza che dimostrava la mia memoria per la lettera V, se non era forse per esser quella lettera una delle ultime. Gli sbadigli, le tirate di pelle o di naso e i versacci che io faceva durante quelle lezioni mi son sempre restati in mente come un segno della mia mala creanza e dell'esemplare pazienza del Piovano. S'io dovessi insegnar a leggere ad un porcellino come allora era io, son sicuro che nelle due prime lezioni gli caverei le due orecchie. Io invece non ebbi altro incommodo che quello di riportarle a casa alcun poco allungate. Ma quest'incommodo che continuò e s'accrebbe per quattro anni, dai sei ai dieci, mi procurò peraltro il vantaggio di poter leggere tutti i caratteri stampati, e di scrivere anche abbastanza correntemente, purché non ci entrassero le maiuscole.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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