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      E allora quei valorosi soldati, che non si erano mossi al veder schernito un proprio collega, si commossero d'un subito alla rovina delle uova e mostrarono di volermi venire addosso colla baionetta. Ma io, tratte di tasca le pistole e ributtato verso loro stramazzone il mio ballerino, mi posi a strillare che chi primo si moveva era morto. E in un attimo tutti i miei compagni mi stavano intorno per difendermi, quale col coltello sguainato e quale con pistole uguali a quelle che aveva io. Vi fu un istante di sospensione e poi nacque un parapiglia, che, non so come, ci trovammo tutti uno addosso dell'altro senza peraltro far fuoco né adoperar delle armi altro che i manichi, perché in verità la quistione non ne valeva la pena. E batti di qui e pesta di là quelle povere Cernide erano molto malconcie e le loro ova del pari, quando capitò il Capo di Cento col resto della masnada e ci tolse in mezzo costringendoci colle minacce a cessare da quel tafferuglio, se no, diceva, avrebbe comandato fuoco senza riguardo né per amici né per nemici. Si chiamarono allora testimoni di chi fosse la colpa; i quali, come si usava sempre, diedero ragione a noi e torto alle Cernide, e cosí ci lasciarono andare senz'altro disturbo. Ma mentre io mi ritirava facendo il gradasso fra i miei compagni di quel trionfo, quel cotale che avea ballato la furlana mi gridò dietro che guardassi bene ballando di non perdere la mia cresta di pelo che egli ne avrebbe fatto un trofeo da metter in capo al suo asino pel secondo giorno della fiera.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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