Pagina (99/1253)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Era il fuoco del mezzodí riverberato dalle ghiacciaie candide e adamantine del settentrione.
      Le semplici contadine dei dintorni la chiamavano la Santa; e ricordavano con venerazione il giorno della sua prima comunione, quando appena ricevuto il mistico pane la era svenuta di consolazione di paura d'umiltà; ed elleno dicevano invece che Dio l'aveva chiamata in estasi come degna che la era d'un piú stretto sposalizio con essolui. Anche la Clara si risovveniva con una gioia mista di tremore di quel giorno tutto celeste; assaporando sempre colla memoria quei sublimi rapimenti dell'anima invitata a partecipare per la prima volta al piú alto e soave mistero di sua religione. Tenetevi ben a mente ch'io narro d'un tempo in cui la fede era ancora di moda, e produceva negli spiriti eletti quei miracoli di carità di sacrifizio e di distacco dalle cose mondane che saranno sempre meravigliosi anche all'occhio miscredente del filosofo. Io non catechizzo, né pianto o difendo sistemi; e so benissimo che la divozione, volta in bigottismo dalle anime false e corrotte, può viziar la coscienza peggio che ogn'altra abitudine di perversità. Vi ripeto ancora ch'io non sono divoto; e me ne duole forse perché durai grandissima fatica a trovare un'altra via per cui salire alla vera e discreta stima della vita. Dovetti percorrere sovente, col disinganno al fianco, e la disperazione dinanzi agli occhi, tutta la profondità dell'abisso metafisico; dovetti sforzarmi ad allargare la contemplazione d'un animo, diffidente e miope sopra l'infinita vastità e durevolezza delle cose umane; dovetti chiuder gli occhi sui piú comuni e strazianti problemi della felicità, della scienza e della virtù contraddicenti fra loro; dovetti io, essere socievole e soggetto alle leggi sociali, rinserrarmi nel baluardo della coscienza per sentire la santità e la vitalità eterna e forse l'attuazione futura di quelle leggi morali che ora sono derise calpestate violate per tutti i modi; dovetti infine, uomo superbo della mia ragione e d'un vantato impero sull'universo, inabissarmi, annichilirmi, atomo invisibile, nella vita immensa ed immensamente armonica dello stesso universo, per trovar una scusa a quella fatica che si chiama esistenza, ed una ragione a quel fantasma che si chiama speranza.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





Santa Dio Clara