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      Partistagno le volgeva di sbieco una lunga occhiata d'ammirazione: Lucilio la adocchiava appena di volo, e ambidue si inebriavano l'uno d'una vana speranza l'altro d'una ragionata certezza d'amore.
      Quanto al signor Conte, alla signora Contessa, e al buon Monsignore, essi erano troppo in alto coi pensieri, ovverosia troppo occupati della propria grandezza, per badare a simili minuzzoli. Il resto della comitiva non ardiva levar gli occhi tant'alto, e cosí queste vicende d'affetto succedevano fra i tre giovani senza che vi si ingerisse sguardo profano od importuno. Martino qualche volta mi chiedeva: - Hai veduto capitare il dottor Lucilio oggi? - (Lo chiamavano dottore benché non avesse diploma, perché aveva guardate molte lingue e tastati molti polsi nel territorio). - Io gli rispondeva gridando a piena gola: - No, non l'ho veduto! - Questo dialogo avveniva sempre quando la Clara o soletta o accompagnata dal Partistagno usciva nel dopopranzo, meno serena ed ilare del solito. Martino forse ci vedeva piú che ogn'altro, ma non ne diede mai altro indizio che questo. Quanto alla Pisana la mi diceva sovente: "Se io fossi mia sorella vorrei sposare quel bel giovane che ha tanti bei nastri sulla giubba e un cosí bel cavallo, con una gualdrappa tutta indorata; e il signor Merlo lo farei mettere in una gabbietta per regalarlo alla nonna il giorno della sua sagra".
     
     
      CAPITOLO TERZO
     
      Confronto fra la cucina del castello di Fratta e il resto del mondo. La seconda parte del "Confiteor" e il girarrosto.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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