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      Quando questi pensierucci tristarelli mi raspavano nel cuore, io rideva d'un gusto maligno, e mi metteva a girare lo spiedo piú in fretta che mai. Accorreva ciabattando la cuoca, e mi pestava le mani dicendomi: - Adagio, Carlino! gli uccelletti vanno trattati con delicatezza! - Se la stizza e la paura m'avessero permesso di parlare, avrei domandato a quella vecchiaccia unta perché anche Carlino non lo trattava almeno come un fringuello. La Pisana, quando mi sapeva in funzione di menarrosto, vinceva la sua ripugnanza per la cucina, e veniva a godere della mia rabbiosa umiliazione. Uh! quante ne avrei date a quella sfrontatella per ognuno de' suoi sghigni! Ma mi toccava invece ingozzar bocconi amari, e girare il mio spiedo, mentre un furore quasi malvagio mi gonfiava il cuore e mi faceva scricchiolare la dentatura. Martino, alle volte, credo che m'avrebbe sollevato, ma prima la cuoca non voleva, e poi il dabbenuomo avea briga bastevole colle croste di formaggio e la grattugia. Invece alla bollitura della minestra mi capitava l'ultimo conforto di Monsignore, il quale, stizzito di vedermi cogli occhi o lagrimosi o addormentati, mi suggeriva con voce melliflua di non far il gonzo o il cattivo, ma di ripeter invece a memoria l'ultima parte del Confiteor finché me ne capacitassi ben bene. Basta basta di ciò; solo a pensarvi mi sento colar di dosso tutti i sudori di quegli arrosti, e in quanto a Monsignore lo manderei volentieri dov'è già andato da un pezzo, se non avessi rispetto alla memoria delle sue quondam calze rosse.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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