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      Spingi da una banda e tira dall'altra, mi faceva strada fra quella boscaglia nuotante, ma la strada andava sempre in giù, e le piante mi scivolavano sopra una belletta sdrucciolevole come il ghiaccio. Quando Dio volle il fondo ricominciò a salire; e me la cavai colla paura, ma credo che talmente fossi infervorato nell'andar oltre che non mi sarei ritratto dovessi anco affogarne. Messo il piede sull'erba mi parve di volare come un uccello; la prateria saliva dolcemente e mi tardava l'ora di toccarne il punto piú alto donde guardare quella mia grande conquista. Vi giunsi alla fine, ma tanto trafelato che mi pareva esser un cane di ritorno dall'aver inseguito una lepre. E volsi intorno gli occhi e mi ricorderò sempre l'abbagliante piacere e quasi lo sbigottimento di maraviglia che ne ricevetti. Aveva dinanzi un vastissimo spazio di pianure verdi e fiorite, intersecate da grandissimi canali simili a quello che aveva passato io, ma assai piú larghi e profondi. I quali s'andavano perdendo in una stesa d'acqua assai piú grande ancora; e in fondo a questa sorgevano qua e là disseminati alcuni monticelli, coronati taluno da qualche campanile. Ma piú in là ancora l'occhio mio non poteva indovinar cosa fosse quello spazio infinito d'azzurro, che mi pareva un pezzo di cielo caduto e schiacciatosi in terra: un azzurro trasparente, e svariato da striscie d'argento che si congiungeva lontano lontano coll'azzurro meno colorito dell'aria. Era l'ultima ora del giorno; da ciò m'accorsi che io doveva aver camminato assai assai.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





Dio