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      Io poi non so se quei momenti mi fossero piú di piacere o di rammarico. Quell'eroismo della Pisana di venirmi a trovare a traverso gli andirivieni di quella buia casaccia, e ad onta delle punizioni che ne poteano capitarle, m'avea fatto salire al settimo cielo; poscia la sua caparbietà s'era intromessa a tosarmi di molto le ali perché sentiva (dico sentiva, perché a nove o dieci anni certe cose non si capiscono ancora) sentiva, ripeto, che l'immaginativa, e la vanagloria di mostrare un piccolo portento di prodezza, c'entravano piú assai dell'affetto in un tale eroismo. M'era dunque raumiliato d'alquanto dal primo bollore d'entusiasmo, e quei capelli che m'erano rimasti testimoniavano piuttosto della mia servitù che del suo buon cuore verso di me. Tuttavia fin da fanciullo i segni materiali delle mie gioie de' miei dolori e delle mie varie vicende mi furono sempre carissimi; e quei capelli non li avrei dati allora per tutti i bei bottoni d'oro e di mosaico e per le altre dovizie che sfoggiava sulla persona il signor Conte nei giorni solenni. Per me la memoria fu sempre un libro, e gli oggetti che la richiamano a certi tratti de' suoi annali mi somigliano quei nastri che si mettono nel libro alle pagine piú interessanti. Essi ti cascano sott'occhio di subito; e senza sfogliazzar le carte, per trovare quel punto del racconto o quella sentenza che ti ha meglio colpito, non hai che a fidarti di loro. Io mi portai sempre dietro per lunghissimi anni un museo di minutaglie, di capelli, di sassolini, di fiori secchi, di fronzoli, di anelli rotti, di pezzuoli di carta, di vasettini, e perfino d'abiti e di pezzuole da collo che corrispondevano ad altrettanti fatti o frivoli o gravi o soavi o dolorosi, ma per me sempre memorabili, della mia vita.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





Pisana Conte