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      Quello che succedeva delle giurisdizioni rispetto allo Stato, che cioè ognuna faceva e pensava per sé, non vedendo né provando utile alcuno dal gran vincolo sociale, lo stesso avveniva nelle persone singole rispetto al Comune, che diffidando e non a torto dell'autorità di questo, ognuno s'ingegnava a farsi o giustizia o autorità per sé. Da ciò rappresaglie private continue, e servilità nei Comuni ai feudatari vicini, piú dannosa e codarda perché non necessaria; ma necessaria in questo, che una legge naturale fa i deboli servi dei potenti. Non sempre a torto fummo tacciati noi Italiani di dissimulazione, d'adulazione, e d'eccessivo rispetto alle opinioni e alle forze individuali. Gli ordinamenti pubblici di cui accenno, fomentarono cotali piaghe dell'indole nazionale. Tartufi, parassiti e briganti pullularono come male erbe in luogo ferace ed incolto. L'ingegno l'accortezza l'audacia volte a frodar quelle leggi da cui non era assicurato con ugualità nessun diritto, diventavano stromenti di malizia, e di perversità; e il suddito colla frode o col delitto s'adoperava a conseguire quello che gli era negato dalla giustizia obliqua, o ignorante o vendereccia del giudice. V'aveva per esempio uno statuto che accordava piena fede in causa ai libri dei mercanti e dei gentiluomini; ma come dovevano afforzar gli avversari le loro prove se non avevan la ventura di possedere tutti i quarti in regola o d'essere iscritti alla matricola dei negozianti? - Regali e protezioni; ecco i due articoli suppletorii che compensavano l'imperfezione dei codici.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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