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      Ma in punto a logica, ho tutte le ragioni per credere che fosse un tantino cocciuto. Merito di razza forse; ma mentre la cocciutaggine degli altri si appiattava spesso nella coscienza e lasciava libero il resto di compiacere fin troppo, egli invece era, come si dice, mulo dentro e fuori, e avrebbe scalciato nel muso, io credo, anche al Serenissimo Doge, se questo si fosse sognato di contraddirlo nelle sue idee fisse. Operoso e veemente che era nel suo fare, spostato da quello diventava inerte e plumbeo davvero; come la ruota d'un opificio cui si tagliasse la coreggia. La sua coreggia era il convincimento, senza del quale non l'andava piú innanzi d'un passo di formica; e quanto al lasciarsi convincere Leopardo aveva tutta l'arrendevolezza d'un Turco fanatico. Ma di cotanta tenacità era forse ragione bastevole l'essersi egli maturato nella solitudine e nel silenzio: i pensieri nel suo cervello non s'insaldavano colla fragile commettitura d'un innesto ma colle mille barbe d'una radice quercina, cresciuta lentamente prima di germogliare o di dar frutto. Ora, sopra un innesto sfruttato attecchisce un altro innesto; ma le radici o non si spiantano, o spiantate disseccano: e Leopardo aveva la testa informata a modo che non la potea reggere sul collo che ad un magnanimo o ad un pazzo. O cosí o nulla. Ecco il significato formale e il motto araldico della sua indole. Leopardo visse beatamente fino a ventitré anni senza fare o soffrire interrogazioni da chicchessia. I precetti dei genitori e dei maestri collimavano cosí finitamente colle sue viste che né a lui era mestier domandare a loro, né ad essi domandar nulla a lui.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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