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      Il giorno dopo, che era domenica, furono ben altre novità in paese. Alle sette e mezza, quando la gente tornava dalla prima messa di Teglio, s'udí un grande scalpito di cavalli: e poco stante il signore di Venchieredo con tre de' suoi buli comparve sul piazzale. L'era un uomo rosso, ben tarchiato, di mezza età; nei cui occhi non si sapea bene se prevalessero la furberia o la ferocia; superbo poi ed arrogante piú di tutto, e questo lo si indovinava dal portamento e dalla voce. Fermò il cavallo di pianta, e chiese con malgarbo ove abitasse il reverendo cappellano di Fratta: gli fu additata la canonica, ed egli vi entrò con piglio da padrone dopo aver affidato il palafreno al Gaetano che gli veniva alle coste. Il Cappellano aveva finito poco prima di farsi la barba; e stava allora in balía della fantesca che gli radeva la chierica. La cucina era il loro laboratorio; e il pretucolo, riavuto un poco dalla paura del giorno prima, scherzava colla Giustina raccomandandole di tondergli bene il cucuzzolo, non come all'ultima festa, che tutta la chiesa erasi messa a ridere quand'egli s'avea tolto di capo la berretta quadrata. La Giustina dal suo lato ci adoperava tanto studio che non le rimaneva tempo da rispondere a quei motteggi; ma tondi di qua e radi di là, la chierica s'allargava come una macchia d'olio su quella povera testa da prete; e benché egli le avesse dato il precetto di non tenerla piú grande d'un mezzo ducato, oggimai non v'avea piú moneta di zecca che bastasse a coprirla.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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