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      Egli saltava su di soprassalto gridando chi era, e cosa fosse, ma io gli chiusi la bocca colla mano e gli feci cenno di tacere. Fortuna che egli mi conobbe subito; laonde cosí a cenni lo persuasi di seguirmi e condottolo fin giù sul pianerottolo della scala gli diedi contezza della cosa. Il povero Martino faceva occhi grandi come lanterne.
      - Bisogna destare Marchetto, il signor Conte, e il Cancelliere - diss'egli pieno di sgomento.
      - No, basterà Marchetto; - osservai io con molto giudizio - gli altri farebbero confusione.
      Infatti si destò il cavallante il quale entrò nel mio disegno che bisognava far le cose alla muta senza baccani e senza molta gente. Il foro dietro cui lavoravano i cappuccini dava nell'archivio della cancelleria, che era una cameraccia scura al terzo piano della torre, piena di carte di sorci e di polvere. Il meglio era appostar colà due uomini fidati e robusti che abbrancassero uno per uno i due frati mano a mano che passavano e li imbavagliassero e li legassero a dovere.
      E cosí si fece. I due uomini furono lo stesso Marchetto e suo cognato che stava in castello per ortolano. Essi penetrarono pian piano nell'archivio adoperando la chiave del Conte che restava sempre nelle tasche delle sue brache in anticamera; e stettero lí uno a destra ed uno a sinistra del luogo ove si sentivano sordi i colpi dei due scalpelli. Dopo mezz'ora penetrò nell'archivio un raggio di luce, e i due uomini fermi al loro posto. Per ogni buon conto s'erano armati di mannaie e di pistole, ma speravano di farne senza perché i signori frati lavoravano sicuri e privi di qualunque timore.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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