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      I secolareschi invece (cosí dagli avversari venivano designati quelli che per opinioni e costumi si accostavano alla sbrigliatezza secolare) uscivano dalle comode famiglie della città e della pianura. Nei primi la gravità il riserbo la credenza se non l'entusiasmo e l'abnegazione sacerdotale si perpetuavano da zio in nipote, da piovano in cappellano; nei secondi la coltura classica, la libertà filosofica, l'eleganza dei modi, e la tolleranza religiosa erano instillate dai liberi colloqui nei crocchi famigliari; si facevano preti o spensieratamente per ubbidienza, o per golaggine d'una vita commoda e tranquilla. Sí i primi che i secondi avevano i loro rappresentanti i loro difensori nel Seminario, nella Curia e nel Capitolo; a volte quelli, a volte questi aveano soverchiato; ed ogni vescovo che si succedeva nella diocesi era accusato di favorire o i secolareschi o i clausetani. Clausetani e secolareschi si osteggiavano a vicenda; gli uni accusati d'ignoranza, di tirannia, di nepotismo, di taccagneria; gli altri di scostumatezza, di miscredenza, di cattivo esempio, di mondanità. La città parteggiava in genere per questi, il contado per quelli; ma i clausetani, per indole propria e delle massime che difendevano, erano piú concordi fra loro o meglio regolati. Mentre invece nei loro antagonisti la petulanza e la leggerezza individuale escludevano qualunque ordine, qualunque metodo di condotta. Ciò non toglie peraltro che le dissenzioni del clero non alimentassero piú del bisogno il pettegolezzo delle conversazioni; e i vivaci abatini di bella vita, se non si compensavano, si vendicavano almeno coll'impertinenza e colla mordacità della maggiore influenza che gli avversari s'avevano acquistata con secoli e secoli d'austerità, e di perseveranza.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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