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      L'aveva trovata, l'aveva amata, come il cappuccino morente ama la sua parte di cielo; e col cuore e coll'ingegno e colle mille arti d'uno spirito immaginoso e d'una volontà onnipotente, s'adoperava di legare a sé con modi sempre nuovi quell'altra parte necessaria di se stesso che viveva in Clara. Costei cedeva deliziosamente a tanta forza d'amore; amava, la giovinetta, con quanta forza aveva nell'anima; e non pensava piú in là, perché Dio proteggeva la sua innocenza, la sua felicità, ed ella era abbastanza felice di non temer nulla di non dover arrossire di nulla. Quella massima tetra e bugiarda che vieta alle zitelle l'amore, come una perversità ed una colpa, non era mai entrata negli articoli della sua religione. Amare anzi era la sua legge; e le aveva ubbidito e le ubbidiva santamente. Cosí non si dava ella nessuna cura di nascondere quel dolce sentimento che Lucilio le aveva inspirato; e se il Conte e la Contessa non se n'accorsero, fu forse solamente perché la cosa, secondo loro, era tanto fuori d'ogni verisimiglianza da non consentir nemmeno il sospetto. D'altronde alle zitelle d'allora non era assolutamente proibito d'innamorarsi di chichessia: bastava che la passione non andasse oltre. La gente di casa bisbigliava già che quando la Contessina sarebbe maritata il dottor Lucilio sarebbe stato il suo cavalier servente. Ma un giorno che la Rosa disse al giovine qualche scherzo sopra questo soggetto, mi ricordo averlo veduto impallidire e mordersi i mustacchi colla peggior bile del mondo.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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