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      Lucilio sapeva imporlo valorosamente, ed esigerlo con discrezione. Laonde erano costretti a pagarlo di buona moneta e ad essergli per giunta riconoscenti. Il crocchio particolare del Senatore per la presenza di Lucilio si ravvivò d'una subita fiamma d'entusiasmo. Egli animava accendeva trascinava tutti quegli spiriti azzimati cincischiati, ma tiepidi e cascanti. Al suo contatto quanto v'era di giovane e di vivo in loro fermentò d'un bollore insolito. Si dimenticavano quello ch'erano stati e quello che erano, per torre a prestanza da lui un ultimo sogno di giovinezza. Ridevano ciarlavano motteggiavano disputavano non piú come gente intesa ad uccider il tempo, ma come persone frettolose di indovinarlo, di maturarlo. Pareva che la vita di ciascuno di essi avesse trovato uno scopo. Una bocca sola nelle cui parole respirava una speranza eccelsa e misteriosa, una sola fronte sulla quale splendeva la fede di quell'intelligenza che mai non muore, avean potuto cotanto. Il Senatore rimasto solo e ricaduto nella solita indifferenza stupiva a tutto potere di quei caldi intervalli d'entusiasmo, di quel furor battagliero di contese e di alterchi da cui si sentiva trasportato come uno scolaretto. Accagionava di ciò l'esempio e la vicinanza dei piú giovani; era invece la fiamma della vita, che rattizzata in lui da un potente prestigiatore, non potendo scaldargli le fibre già agghiacciate del cuore, gli empiva il capo di fumo e gli infervorava la lingua. "Si crederebbe quasi ch'io prendessi sul serio le sofisticherie che s'impasticciano per passar l'ora", andava egli pensando mentre aspettava la cena nella classica poltrona "e sí che da quarant'anni io non ho odorato la polvere venerabile del collegio!


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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