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      Ah, traditrice!
      gridò con un gemito il mio povero cuore. Sopra un tanto affanno di amore sventurato sentii crescere e gonfiarsi l'odio come una consolazione. Avrei voluto stringere in mano un fascio di fulmini per saettarne quella fronte alta e abborrita di Lucilio: avrei voluto che l'anima mia fosse un veleno per penetrare tutti i suoi pori, per dissolvere ogni sua fibra, e tormentare i suoi nervi fino alla morte. Di me non mi importava né punto né poco: poiché allora per la prima volta provava l'amarezza della vita; e la odiava quasi al pari di Lucilio, come occasione se non causa ch'essa era d'ogni mio male. Allora mi toccò vedere la vanerella valendosi dei privilegi dell'età toglier di mano al servo la tazzina del caffè e presentarla essa stessa al giovine. La fanciulla era rossa come una bragia, aveva gli occhi splendenti piú dei rubini, quali io non avea mai veduti; sembrava in quel momento non già una bambina, ma una ragazza piacevole perfetta e quel che peggio innamorata. Quando Lucilio prese la tazza dalla mano di lei, ella traballò sulle ginocchia e si versò sull'abito alcune gocce di caffè; il giovine le sorrise amorevolmente e si abbassò a pulirla col fazzoletto. Oh se l'aveste veduta allora quella fanciulletta appena alta da terra! - Il suo volto aveva l'espressione piú voluttuosa che mai scultore greco abbia dato alla statua di Venere o di Leda; una nebbia umida e beata le avvolse le pupille, e la sua personcina s'accasciò con tanta mollezza che Lucilio dovette circondarla con un braccio per sostenerla.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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