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      Dopo un paio di giorni anche la Pisana s'accorse del mio pallore, e delle mie astinenze; sicché, quasi indovinandone il segreto, si sforzò a raccostarmisi per farmi bene. Io era già passato dal furore della disperazione alla stanchezza del dolore e la accolsi con aspetto melanconico e quasi pietoso. Quest'ultimo colore della mia fisonomia non le piacque per nulla; finse di credere ch'io le avessi dimostrato che non bisognava di lei e mi piantò lí come un cane. Oh se la mi avesse buttato le braccia al collo! Io sarei stato abbastanza credulo o codardo per stringermela al cuore, e dimenticare i crudeli momenti che la mi aveva fatto passare. Fu forse meglio cosí; poiché al giorno dopo il dolore mi si sarebbe presentato come nuovo, e m'avrebbe sorpreso piú debole di prima. Ad onta della mia inferma salute, tutte le volte che la famiglia andò a Portogruaro io non mancai di accompagnarla; e colà ogni sera io assaporava con amara voluttà la certezza della mia sventura. Mi rinforzava nell'anima; ma il corpo ne soffriva mortalmente, e certo non avrei potuto continuar un pezzo quella vita. Martino mi domandava sempre cosa avessi da sospirar tanto; il Piovano si maravigliava di non trovare i miei latinetti cosí corretti come per l'addietro, ma non aveva coraggio di rimproverarmene, tanto la mia sfinitezza lo moveva a compassione; la contessina Clara mi stava sempre dietro con carezze e con premure. Io dimagriva a vista d'occhio, e la Pisana fingeva di non accorgersene, o se lasciava cadere sopra di me uno sguardo pietoso lo ritirava tosto.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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