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      Allora balbettava sí le orazioni nelle chiese, ma l'anima mia era arida come uno scheletro; la mente cadeva appassita dall'aria greve del mondo; il cuore scoraggiato si appigliava alla speranza del nulla come ad unico rifugio di pace. Questo interno scoraggiamento mi rendeva terribile ed amara perfin la memoria di quel buon vecchio che ad onta delle mie disperate invocazioni non avrei piú potuto rivedere, e che dormiva nel sepolcro, mentr'io mi trangosciava nella vita.
      L'aria di morte che colà respirava, mi invase a poco a poco il cervello: le lagrime mi si stagnarono sulle ciglia, e l'occhio prese una guardatura vitrea e tormentosa ch'io m'ingegnava indarno di cambiare. Mi pareva che il fuoco della vita si ritraesse da me; sentiva il gelo, i fantasmi, i terrori dell'agonia che mi opprimevano; vi fu un istante che cambiato quasi in cadavere credetti di essere lo stesso Martino, e mi maravigliava di essere uscito dalla fossa, e aspettava e temeva che di momento in momento entrassero i becchini per riportarmivi. Questo pensiero strano e spaventoso mi si ingrandiva dinanzi come la bocca d'un abisso; non era piú un pensiero, ma una visione, una paura, un raccapriccio. La luce della finestra mi percosse le pupille quasi assopite; forse in quel momento il sole sbucava da qualche nuvola e inondava la stanza cogli splendori del giorno: un desiderio d'aria, di quiete, d'annientamento s'impadroní di me. Sorsi barcollando, e mi trascinai al davanzale del balcone; ma lo strepito d'una seggiola che rovesciai nel movermi, mi svegliò un poco da quel sogno funereo.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





Martino