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      E questo era proprio il mio caso; e dietro questa massima piú che colle altre mi tornava conto di lambiccare il cervello.
      Basta! Per allora mi rassegnai a leggerla e a rileggerla, se non senza capirla cosí astrattamente, almeno senza poterne trovare un modo di applicazione alle mie circostanze. E tornai a meditare la prima, la quale ascriveva a qualche nostra mancanza o a qualche cattiva azione la piena infelicità!
      Povero me!
      pensai "certo che io ho molte colpe sulla coscienza, perché mi sento oggi piú miseramente infelice che uomo alcuno al mondo non possa essere".
      Sí, ve lo giuro, feci un esame di coscienza cosí sottile, cosí scrupoloso che non fu senza merito per essere stato il primo: colla nozione imperfettissima ch'io aveva delle leggi morali, ho paura che me ne passassi buona piú d'una, ma anche mi rampognai di cose per sé innocentissime; come per esempio d'essermi sempre rifiutato a stringer amicizia coi figliuoli di Fulgenzio e di serbar poca gratitudine alla signora Contessa. Il primo peccato lo ascriveva a superbia, ed era antipatia pura e semplice; del secondo accagionava il mio cattivo animo, ma tutta la colpa l'aveva la memoria tenace della mia povera zazzera, tanto ingiustamente martorizzata. Intanto, quello che piú importa, non m'illusi punto sul mio peccataccio piú grosso, su quello sfrenato amore per la Pisana, il quale mi si scoprí d'un tratto alla coscienza in tutta la sua bestiale salvatichezza. Io aveva amato la Pisana fino da piccino! Ottimamente! Fin da piccino avea sognato con essolei un amore da uomo!


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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