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      Rinchiusa che ebbi la porta lo sentii intonare a gran voce un cantico divoto: credo che avrei preferito gli abbaiamenti d'un cane, e sí che le salmodie sacre con quel loro tenore mesto e solenne hanno sempre commossa l'anima mia in ogni sua fibra. Ma le divozioni cessano di esser sacre quando sono adoperate a spensierato trastullo e a vano sussurro; e io credo che il permetterne e l'inculcarne di cotal guisa ai fanciulli non serva che a guastarli anche secondo le idee di chi volesse farli soltanto buoni cristiani. Le cose spirituali, secondo me, vanno prese sul serio; altrimenti si lascino piuttosto da un canto. Può esser sciagura il non pensarvi, ma è sacrilegio il farsene beffe.
      Del resto, secondo le ingiunzioni del padre Pendola e dell'avvocato Ormenta, io mi feci forza ad uscire dal solito riserbo; diedi una piccola parte del mio tempo allo studio, e cogli svagamenti e coll'intenzione a cose piú grandi ed eccelse addormentai nell'animo mio il dolore che vi covava acerbissimo per la dimenticanza della Pisana. Non mi fu difficile scoprire ne' miei compagni quello che il padre aveva avvertito: una profonda e generale indifferenza in fatto di religione; anzi si andava piú in là, cogli scherni, colle parodie, coi motteggi. Questi avrebbero servito a ravvivarmi in cuore la fede, se i miei primi maestri si fossero dati cura di accenderla; ma nessuno aveva pensato a ciò; su questo punto si può dire ch'io fossi nato morto, a risuscitarmi si voleva un miracolo che non avvenne finora.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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