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      Peraltro lo sdegno ch'io aveva delle buffonerie mi fece credere per qualche tempo di avere quelli tali credenze, le quali io soffriva tanto a veder burlare con tanta frivolezza. La generosità giovanile mi ingannò sullo stato delle mie opinioni, e mi fece piegare a difendere piuttosto gli oppressi che gli assalitori. Narrai quello che vedeva all'avvocato; egli mi incorò ad osservar meglio, a notare quali legami avesse quell'anarchia religiosa colla licenza politica e morale, a discernere i caporioni della setta, ad accostarli, a conversar con loro in maniera che mi aprissero tutto l'animo, per sapere da qual banda incominciare a correggere, a riparare. Mi eccitò soprattutto a non dar nell'occhio col mio atteggiamento, a confondermi colla folla, a risponder poco per allora, limitandomi ad interrogare e ad ascoltare.
      - Le pecorelle smarrite si richiamano colle carezze - diceva l'avvocato - bisogna lusingarle dapprincipio, perché ci credano; bisogna seguirle prima perché esse poscia vengano volentieri dietro a noi.
      Egli non mancava mai d'invitarmi a visitarlo spesso, e a favorirlo della mia compagnia a pranzo; ma se io lo accontentava della prima, non era cosí disposto ad approfittare della seconda parte dell'invito. Una domenica che a tutti i costi egli avea voluto trattenermi seco lui a desinare, ci trovai una tal brigata che mi fece scappar l'appetito. Una vecchia pelata e rantolosa che chiamavano la signora Marchesa, un vecchio sollecitatore mezzo sbirro e mezzo prete che beveva sempre e mi guardava traverso al bicchiere, due giovinastri rozzi, sporchi, massicci che mangiavano colle mani e coi denti si aggiungevano al piccolo sant'Antonio e alla larva piagnolosa della padrona di casa per darmi la piú gran melanconia che mai avessi provato.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





Marchesa Antonio