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      L'avvocato invece sembrava ai sette cieli per avere dintorno a sé una cosí eletta compagnia; osservai peraltro ch'egli non invitava mai il sollecitatore a bere e i giovinastri a mangiare. Tutti i suoi eccitamenti li volgeva alla Marchesa la quale non potea piú bere né mangiare per la tosse che la travagliava. Il signor avvocato trinciava con una perfezione veramente matematica: e giunse a cavare otto porzioni da un pollastrello arrosto; operazione che secondo me vince di difficoltà la quadratura del circolo. Io non avea proprio volontà di toccar cibo, e cessi la mia parte ad uno dei due giovani che non lasciò sul piatto neppur la traccia degli ossi. L'avvocato mi avea fatto mano a mano conoscere tutti i commensali e poi non mancò di tirarmi in un cantone per farmene la storia. La Marchesa era una benemerita patrona di tutti i pii istituti della città; si diceva che fosse ricca di ottantamila zecchini, e lui l'avvocato era il suo consigliere prediletto. Il sollecitatore era un veneziano molto amico dell'attuale podestà al quale faceva fare ogni cosa che gli piaceva; e cosí gli tornava di accarezzarlo per ogni buona occorrenza. I giovani erano due scolari veronesi che s'erano dati come me alla santa causa e si proponevano di aiutarla con tutto lo zelo. Peccato che non avessero né il mio ingegno né le mie belle maniere, ma già Dio sapeva mutar i sassi in pane, e colla buona volontà si arriva a tutto. Io pensai che se in tutte le loro occupazioni ponevano quello stesso zelo che nel mangiare, avrebbero avuto maggior bisogno di freno che di stimolo.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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