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      La mi diceva: "Sei pecora o lupo!?". In verità io ne rimasi cosí sconvolto, che per poco non mi pentii di essere sdrucciolato in quella lunga confessione. Ma il sospetto fu un lampo: l'anima di Amilcare non era di quelle che esperte nel male lo avvisano dovunque; egli era buono, e si ravvide subito di quella breve incertezza: la bontà non gli tornò dannosa, come spesse volte. Egli mi parlò allora della fama che aveva l'avvocato in città; e come egli fosse tenuto un vigilantissimo ministro dell'Inquisizione di Stato.
      - Ah cane! - io sclamai.
      - Cos'è stato? - mi chiese Amilcare.
      Io non ebbi il coraggio di confessare che il furbo m'aveva forse adoperato come strumento delle sue ribalderie; e il coraggio mi mancò affatto quando mi raccontò che la cattura di alcuni studenti avvenuta il giorno prima, e lo sfratto intimato ad alcuni altri, e le perquisizioni a moltissimi si ascrivevano comunemente a merito del signor avvocato.
      - Quel tuo padre Pendola deve essere qualche inquisitore travestito che lavora a doppio per tenerci al buio - continuò Amilcare. - A Venezia sono ancora al mille quattrocento e si ha paura del mille ottocento che s'avvicina, ma noi, noi, oh no, per dio, che non muteremo in loro servigio la nostra fede di nascita. Il buonsenso omai non è il retaggio di cento famiglie di nobili. Tutti vogliono pensare, e chi pensa ha diritto di operare pel bene proprio e comune. Troppo ci condussero colle bretelle; il padre Pendola può esser giubilato: noi vogliamo camminar soli.
      Amilcare pronunciando queste parole si trasformava in tutta la persona; la sua fronte alta e rilevata, gli occhi profondi, le narici sottili e dilatate, mandavano fiamme.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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