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      Aveva piaciuto per esso; per esso era stato amato; senz'esso doveva perire; egli lo sapeva, e infuriava fra sé di non poterne avvivare almeno un funebre lampo colle ceneri dell'anima sua. Morire sfolgorando era ormai la sua unica speranza d'amore e di vendetta; ma piú si ostinava, e meno gli ubbidiva l'ingegno affiocato dalla malattia e dalla passione. Io rimasi costernato dagli ultimi sforzi di un'anima moribonda che fra le rovine d'un corpo già fatto per lei simile a un sepolcro, anelava invidiosamente a quella parte di bene ch'era stata sua e che le veniva rapita da una forza giovane, arrogante e spensierata. Mi pareva di veder Lazzaro agonizzante di fame, che chiede agli epuloni le briciole della mensa e non ottiene che scherno e ripulse. Ma fosse almeno stato cosí! Giulio avrebbe trovato un'ultima gioia nello sfogo di un'ira giusta e magnanima; sarebbe morto colla fede che le sue parole a vendetta della sua sciagura avrebbero risonato eternamente nell'anima della spergiura. Nulla di ciò invece: la Pisana non aveva per lui né occhi né orecchi: egli moriva goccia a goccia, senza lusingarsi che il rantolo della sua maledizione avrebbe turbato un istante la felicità del suo sorriso!
      Durante quella lunga sera accumulai nel cuore tanta compassione per quel poveretto, che addussi al Conte qualche pretesto per rimanere a Portogruaro, e lo lasciai partire soletto colla Pisana, la quale si maravigliò non poco di cotal mia stravaganza. La attribuí forse a gelosia, e mi buttò un'occhiatina che potea essere di conforto o di gratitudine; ma io ne ebbi orrore, mi rivolsi precipitosamente, e lasciando il Venchieredo guardar la carrozza che si dileguava, presi a braccetto il Del Ponte, e lo trassi lunge da quella casa.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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